Doriana Napoli è una creativa completa, che l’arte l’ha studiata, l’ha insegnata e tutt’ora la produce. Interprete della tradizione napoletana, ma non per questo intrappolata all’interno di luoghi comuni, sperimenta da sempre tecniche e materiali per trovare un proprio stile, unico e molto personale.
Da quando è iniziata la tua attività creativa?
Potrei dire, in effetti, di essere sempre stata una creativa. Nel corso degli anni ho dipinto quadri, realizzato mosaici, mattonelle decorate e ho fatto molti esperimenti con materiali vari. Le mie opere però le tenevo per me o le regalavo, poi nel 2015 nell’ambito di un corso sull’imprenditoria femminile ho trovato la spinta per portare questa attività ad un livello più professionale. Ho iniziato con accessori in plastica riciclata e poi sono passata alle miniature e alle opere ispirate a Napoli.
Sei partita quindi dai gioielli di plastica, come mai poi sei passata a qualcosa di totalmente differente?
Sempre nel 2015 ho partecipato a una mostra il cui tema era innovazione e tradizione così mi è venuto in mente di usare le miniature dei monumenti di Napoli che faceva mio padre in terracotta, ma in abbinamento al plexiglass, per darne una versione un po’ più moderna. Dopo ho partecipato anche a un’altra esposizione con altri artigiani, in quell’occasione ho unito alle miniature la stampa su plexiglass dei tracciati viari di Napoli, una rappresentazione nuova che è piaciuta molto. Da lì è nato tutto perché vedevo che quelle miniature avevano un maggiore riscontro rispetto ai gioielli. Dopo poi mi sono concentrata sui personaggi, mi piacevano di più e trovavo che avessero un altro valore espressivo.

E gli accessori? Li hai abbandonati del tutto?
Mai dire mai, ho ancora tantissime delle bottiglie che conservavo per riciclare la plastica. Alcune sono anche molto belle, davano un risultato molto particolare, un effetto vetro ma con la leggerezza della plastica che non sempre è facile da ottenere.
Con la lavorazione del collo delle bottiglie si ottengono forme molto particolari e poi penso che col tempo questa plastica che ho da parte potrebbe persino avere un valore, visto che non si produce più.
Hai un’opera preferita, tra quelle realizzate da te?
Sì, mi sono anche rifiutata di venderla, l’ho solo prestata per una mostra a Rivisondoli insieme ad altri pezzi. È un San Gennaro con il corpo fatto da edifici. Non è il primo pezzo fatto così, ma è quello più bello perché ha anche l’ampolla di vetro col sangue in vista. È come se la città e i suoi edifici fossero disegnati dal sangue che scorre dall’ampolla. Non penso di venderla.

Esiste invece un pezzo che vorresti non aver fatto?
No, non credo, sono tutte mie creazioni e in ogni pezzo trovo sempre e comunque qualcosa di interessante, di personale.
Si finisce sempre per affezionarsi alle proprie opere, no?
Sì infatti alcuni pezzi non ho voluto venderli subito è stato necessario far passare un po’ di tempo…dal parto. Naturalmente vedo i difetti dove ci sono e ci possono essere dei lavori che mi piacciono meno, ma sono comunque una parte di me, che mi appartiene, per cui non le rinnegherei mai.
Cosa ti ispira o ami particolarmente di altri artisti, famosi o no?
Anni fa ho fatto un ritratto di mia mamma e mi ispirai a Klimt perché è un artista che amo molto. Era un dipinto realizzato con colori acrilici e parti di cartapesta in cui mia madre giovane diventava Partenope,la principessa greca delle storie della Serao .
Ho realizzato anche alcuni lavori rivisitando degli autori del ‘900 divenuti iconici come un San Gennaro seduto, Giallo Napoli, ispirato ai cardinali di Manzù, è una forma di riflessione e di stimolo.

Penso per esempio alle mie lampade introverse. Per il primo, grande uovo che ho esposto al Pan l’ispirazione è nata da alcuni lavori di Fontana. Amo da sempre sfogliare i libri d’arte e magari non subito, ma dopo un po’ di tempo le immagini mi tornano rivisitate alla luce del mio amore per Napoli.

Ci racconti che ruolo ha avuto l’arte nella tua formazione e nel tuo percorso?
L’arte per me è sempre stata presente. Mio padre era un artista, che coltivò la sua passione nel tempo libero,dovendo mantenere una famiglia con quattro figli. Mio nonno anche lui pittore,con una bella mano alla maniera di Vincenzo Irolli, riuscì a vivere del suo lavoro con non poche difficoltà. Mio padre si diplomò all’istituto d’arte, ma poi nella vita fece altro. Era molto bravo nel disegno e nella pittura e si è dedicato anche alla ceramica. Aveva persino degli attrezzi che si era fatto da sé e che io ancora conservo ed utilizzo. Ho seguito con lui per due anni un corso di ceramica ai Banchi Nuovi e da lì è nata la mia passione per la manipolazione, anche se in fondo l’ho sempre avuta. Da piccola lavoravo la cartapesta, a scuola c’era il DAS e così via. A casa avevo tanti libri d’arte e mi piaceva perdermi nelle immagini e nelle storie che vedevo rappresentate.
La vita di tutti i giorni ha influito negativamente su questo percorso?
Non proprio. Ho studiato architettura, quindi non ho mai davvero interrotto i miei rapporti con l’arte. A scuola ho insegnato quella che fino a poco tempo fa si chiamava educazione artistica, sia la pratica artistica che la storia, quindi l’arte non mi ha mai davvero abbandonata.
Che consiglieresti a un giovane che si sta avvicinando ora al mondo della creatività?
Mi sono trovata spesso a parlare di questo con i miei alunni. Purtroppo da noi la formazione artistica è sempre stata molto bistrattata. Per esempio l’istituto d’arte Palizzi che si trova a piazzetta Salazar è diventato un liceo coreutico, lì c’è anche un museo importantissimo, che però è sempre chiuso. C’è stata una decadenza nel corso degli anni davvero tremenda. Persino l’istituto di ceramica, il Caselli, stava finendo sul viale del tramonto, fortunatamente poi la nuova dirigenza ha dato un nuovo impulso, così anche al liceo artistico, per fortuna. Alla base però c’è un fatto culturale, un pregiudizio. Dal secondo dopoguerra in poi si riteneva che alla scuole d’arte andasse chi non riusciva nelle altre discipline. Io stessa quando espressi il desiderio di andare al liceo artistico fui un po’ boicottata e alla fine optai per il liceo classico. Dopo ho studiato architettura, ma quella di fatto è una facoltà scientifica. Da noi mancano le grandi scuole d’arte private che si trovano in altre città, non c’è questa cultura, nonostante abbiamo tradizioni importantissime come quella della tarsia sorrentina, che non vengono valorizzate. Dovrebbero nascere scuole di alto profilo per indirizzare i giovani del territorio.
Qualcosa che a Napoli manca da sempre.
Sì. Mio padre a suo tempo studiò arti grafiche proprio all’istituto di piazzetta Salazar, molti anni più tardi ha provato a regalare alla scuola un tornio per le acqueforti che si era fatto costruire, ma all’istituto presentarono un sacco di difficoltà e alla fine l’abbiamo regalato ad un amico artista. Era un macchinario per incisioni, enorme. Per dire quanto poco amore ci fosse già allora per l’arte, e anche per gli allievi.
Per quanto riguarda i ragazzi, ricordo che anni fa consigliai ad un mio alunno molto dotato l’istituto d’arte, dopo un paio d’anni mi venne a trovare e mi disse che non era contento perché non imparava poi molto. Da quel momento sono sempre stata molto cauta e solo davanti a ragazzi veramente motivati e sicuri ho consigliato di prendere quella strada anche perché spesso ci sono pure dei “personaggi” che ti vogliono demolire psicologicamente, e a quell’età reagire non è facile.
E dopo, invece? Com’è il mondo del lavoro per chi sceglie una carriera artistica?
Negli anni il mondo del lavoro è diventato qualcosa di terribile, ma questo in qualunque ambito. Allora dico che tanto vale seguire la passione. La creatività è sempre una marcia in più che fornisce un modo diverso di guardare alle cose, per questo io credo che vada sempre coltivata.
Volevo chiederti cosa ti motiva a continuare, ma in effetti hai già risposto.
Sì mi motiva la passione, la volontà di lasciare un’impronta, di comunicare. Anche il desiderio di sviluppare delle tematiche e lavorarci su, che è importante anche per sé stessi, per crescere come persone e come artisti.
Hai mai riscontrato difficoltà ad inserirti nel circuito delle mostre?
Quello dell’arte non è un settore molto semplice, l’aspetto economico prende il sopravvento. Io vivo questo problema solo marginalmente, però lo vedo e non mi piace.
Credi che fare questo mestiere al sud sia penalizzante per via del mercato stagnante?
È proprio il mercato dell’arte, ovunque, ad essere diventato qualcosa di troppo commerciale. Io comunque sento di stare ancora imparando, mi sto mettendo alla prova, avrei bisogno di studiare. Ci sono sempre tante cose a cui pensare, la famiglia a cui dedicarsi e di conseguenza il tempo per l’arte si riduce molto. A volte mancano proprio la tranquillità e la serenità necessarie. Spesso lavoro di sera tardi, ma a quel punto subentra anche la stanchezza.
Come si continua ad imparare rimanendo comunque fedeli a sé stessi?
Mi sono sentita dire da altre persone, anche da artisti bravi, che ho già una mia riconoscibilità e questo è un aspetto importante. Dietro a questa riconoscibilità c’è comunque uno studio, che risale probabilmente ai tempi dell’università dove ho appreso una metodologia che ha a che vedere con lo sviluppo di un’idea, con l’ approfondimento delle tematiche e poi con l’elaborazione di una forma che prescinde dalla quella artistica. O forse addirittura tutto questo deriva da prima, dal liceo classico. Magari in questo può esserci un quid che rende le mie opere personali. Poi c’è sempre da imparare, è chiaro, infatti sto frequentando un corso di ceramica, ed è davvero tutto un mondo da conoscere. È molto impegnativo ma si impara tanto e c’è il confronto con chi ne sa di più che è molto importante.
Idee per il futuro che puoi svelarci?
Avrei un progetto a cui tengo, se riuscirò mai a realizzarlo, e si lega al mio San Gennaro di cui parlavo prima, nella speranza che possa diventare qualcosa di più grande e magari avere un riconoscimento pubblico. Questa immagine l’ho inventata io e non l’ho mai vista da nessun’altra parte, sarebbe bello poterlo realizzare in un formato più grande, in bronzo. Naturalmente per fare una cosa del genere c’è bisogno di molto lavoro, di altre competenze. Magari questo potrebbe essere un sogno per il futuro.
Partecipi spesso a mostre o eventi, ne hai qualcuno in programma?
Si mi fa piacere confrontarmi con altri artisti e con il pubblico. Di recente ho vinto il premio Comedì – l’arte della commedia, con un lavoro sul tema delle maschere ma ciò che mi onora e inorgoglisce di più è avere una mia opera presente nel patrimonio stabile del museo civico di Rivisondoli. “Metamorfismo partenopeo” è un san Gennaro che riunisce in sé il vulcano e la tradizione del presepe napoletano.
Comunque ho sempre idee in testa, e tematiche che vorrei sviluppare, come le lampade introverse che fanno luce al loro interno e raccontano nuove storie.
Nuovi progetti non mancano mai.
Paola Cirino